
Vladimir Nabokov, con Invito a una decapitazione, crea un romanzo inquietante e surreale, in cui la realtà si sfalda sotto i piedi del protagonista e del lettore. Cincinnatus C., un uomo condannato a morte per un crimine impalpabile—l’essere “impermeabile alla trasparenza”—vive i suoi ultimi giorni in una prigione grottesca, circondato da carcerieri e compagni di cella che sembrano usciti da un teatro dell’assurdo.
La narrazione è soffocante, dominata da un senso di estraneità e angoscia, mentre la scrittura di Nabokov si muove tra il poetico e il beffardo. Ogni scena è carica di simbolismo e ironia, e il lettore si ritrova a oscillare tra il riso amaro e il disagio profondo. Il mondo in cui si muove Cincinnatus è un palcoscenico fasullo, popolato da personaggi che recitano ruoli prefabbricati, incapaci di autentica umanità.
Il romanzo anticipa temi kafkiani e orwelliani, ma con la firma inconfondibile dell’autore russo: una prosa sofisticata, una struttura che sfida la linearità, un costante gioco tra realtà e finzione. L’epilogo, tanto enigmatico quanto liberatorio, lascia il lettore sospeso tra il senso di tragedia e un’improvvisa leggerezza metafisica.
È un libro che destabilizza, che chiede di essere letto più volte per coglierne tutte le sfumature, un’esperienza letteraria che lascia un segno profondo.
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